Marco Boato - attività politica e istituzionale | ||||||||||||||||
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Trento, 26 settembre 2014 Il 26 settembre 1988 Mauro Rostagno venne assassinato dalla mafia a Lenzi di Valderice, a poche centinaia di metri dalla Comunità per tossicodipendenti «Saman», dove operava dall’inizio degli anni Ottanta e mentre ritornava dalla televisione di Trapani Rtc, dove negli ultimi anni aveva dedicato molte delle sue energie nell’impegno giornalistico di informazione, controinformazione e denuncia. Era un’attività svolta con coraggio e determinazione, che giorno dopo giorno aveva suscitato una sorta di “risveglio civile” nella città e provincia di Trapani, parlando apertamente, ad un numero sempre crescente di cittadini, della corruzione politica, degli intrighi massonici, del ruolo devastante della mafia, ma anche della difficile vita quotidiana della gente in quella terra del Sud, che aveva scelto come un atto di amore, lui che era nato a Torino e che era diventato famoso come leader del movimento studentesco di Sociologia a Trento negli anni Sessanta. Oggi Mauro Rostagno avrebbe avuto 72 anni, e invece la sua ancor giovane vita è stata stroncata ad appena 46 anni. Una vita straordinariamente ricca di esperienze umane, culturali, politiche e sociali, che ad ogni tappa aveva saputo trasformare e in un certo modo “rifondare”, senza mai attardarsi in atteggiamenti nostalgici, ma senza neppure mai cancellare o rinnegare le tappe precedenti. Ne aveva dato prova quando era ritornato a Trento per il ventennale del ’68, nel febbraio 1988, quando nelle aule di Sociologia – all’insegna del “Benvenuta utopia” – si ritrovarono a centinaia gli studenti degli anni ’60 insieme a molti docenti, tra i quali il senatore a vita Norberto Bobbio, e al fondatore dell’Università, Bruno Kessler, in uno straordinario incontro patrocinato dall’allora rettore Fabio Ferrari (che mi disse: “Ho sentito parlare per la prima volta del movimento di Sociologia di Trento ancora quand’ero negli Usa, a Berkeley in California”). A pochi mesi dal suo ultimo ritorno a Trento, Rostagno venne assassinato dalla mafia, in una provincia dove una magistratura imbelle e amministratori collusi, insieme a discussi appartenenti all’arma dei carabinieri di allora, negavano addirittura l’esistenza della mafia stessa, sulla cui pericolosità invece non ebbero fin dall’inizio dubbio alcuno coraggiosi commissari della polizia di stato e il vicario della diocesi, mons. Antonino Adragna, nell’omelia per il funerale di Rostagno, che volle celebrare solennemente nella cattedrale di Trapani. Ci sono voluti ben 26 anni perché – dopo innumerevoli depistaggi e inchieste mancate – il 15 maggio 2014 si arrivasse alla sentenza, con la quale, dopo oltre tre anni di processo, la Corte d’assise di Trapani ha condannato all’ergastolo i mafiosi Vincenzo Virga, quale mandante, e Vito Mazzara, quale esecutore dell’omicidio Rostagno. Dunque, solo trascorsi oltre due decenni si era arrivati a riaprire l’inchiesta, da parte della Procura antimafia di Palermo, sotto la guida iniziale di Antonio Ingroia e con la presenza per l’accusa nel processo dei Pm Gaetano Paci e Antonio Del Bene. Il presidente della Corte d’assise di Trapani Angelo Pellino (giudice a latere Samuele Corso) ha condotto l’istruttoria dibattimentale con assoluto rigore e determinazione, disponendo perizie balistiche e infine l’analisi delle tracce di Dna sui resti del fucile con cui Mauro era stato ucciso, analisi che alla fine si sono dimostrate assolutamente probanti e che in precedenza non erano mai state fatte. Sulla figura di Rostagno e sull’andamento dell’intero processo ha ora pubblicato (per le edizioni Sellerio) un bellissimo libro Adriano Sofri, sotto il titolo “Reagì Mauro Rostagno sorridendo”, e di questo libro Sofri parlerà proprio a Trento il prossimo martedì 30 settembre, nella sede della fondazione Caritro (alle ore 17.30), facendo in questo modo ritornare a Trento anche quel Mauro che era stato per lui, ma anche per me e molti altri, compagno e amico di mille avventure giovanili nella Trento e nell’Italia di allora. Sotto il titolo “Le vite di Mauro”, nella parte conclusiva del suo libro Sofri scrive: “Mauro era nato il 6 marzo 1942, era passato da tante vite, chissà quante ne avrebbe avuto ancora. Di tutti quelli che ho conosciuto, era il più pronto a prendersele tutte, le vite che abbiamo in offerta”. E aggiunge, proprio in riferimento all’esperienza trentina: “In una era stato un leader carismatico del ’68, come si dice, ironico, geniale, seducente, spavaldo e musicale”. Per concludere: “Così sconvolgente fu per noi l’assassinio di Mauro, perché eravamo stati insieme in un impegno che votava gli uni agli altri e tutti a una causa comune, e adesso, a distanza di pochi anni, scoprivamo una sua battaglia temeraria e una sua solitudine, e che anche noi l’avevamo lasciato solo”. Anche se in realtà solo non era, per una antica comunità di amicizia e solidarietà, che non si era mai sciolta. Proprio per questo è bello che oggi lo si possa ricordare dall’altro capo dell’Italia rispetto a quello in cui è morto, nell’anniversario del suo omicidio, e che qui possa riecheggiare tra pochi giorni il suo ricordo e il suo rimpianto, per quella Trento che non ha mai dimenticato o che, se troppo giovane, voglia riscoprire le orme di un suo figlio di adozione. Marco Boato
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